Considerazione sul rapporto tra integrazione europea e pace Integrazione europea e pace sono due concetti che, apparentemente, possono apparire distanti tra loro. Eppure quando ci è stato chiesto di capire se e in che modo possa esserci un rapporto tra i due, a me è venuta subito in mente una foto. Un’immagine per i più come altre, che ritrae un gruppo di ragazzi come altri, intenti a festeggiare una serata, anche questa, come altre. La foto in questione, tuttavia, è per me emblematica di un’esperienza. Un’avventura che, sono certo nel bene, mi ha cambiato la vita. Era il 21 febbraio 2021 e mi trovavo a Berlino, in Erasmus. Solo pochi mesi prima mi laureavo alla triennale, e la mia vita sembrava andare a rotoli perché non ero riuscito ad accedere alla magistrale a cui ambivo. L’Erasmus, oltre a permettermi di creare una nuova ambizione, mi ha permesso di conoscere il mondo attraverso altri occhi. Nella foto, oltre me, ci sono 13 persone. Tredici persone che fino a un mese prima non si conoscevano, derivanti da Paesi diversi, con alle spalle storie diverse.
C’erano tedeschi, greci, italiani, polacchi e russi. Sì, ancora non sembrava così strano che un russo e un polacco stessero nella stessa stanza a bere birre allegramente. Ma l’intento di questa narrazione non è raccontare quante birre siano state bevute quella sera o quante patatine siano state mangiate. È bensì condividere le conseguenze, le consapevolezze che, serate come questa, mi hanno permesso di maturare. Prima di andare a Berlino non avevo mai fatto un Erasmus, né mi ero mai trovato a interagire per così tanto tempo con persone straniere. Certamente la globalizzazione già da tempo riduce le distanze geografiche, facendo sentire più vicine popolazioni di emisferi opposti. Ma lo fa per lo più tramite schermi, con rapporti de-umanizzati, senza la presenza fisica che permette di tagliare definitivamente quelle pareti culturali a volte apparentemente invalicabili. Riprendendo un concetto espresso da Papa Francesco ospite da Fazio, vivere a Berlino mi ha permesso di capire l’importanza di “toccare con mano”. Ho potuto guardare negli occhi e stare fianco a fianco con persone fino ad allora lontane da me, che hanno sempre parlato una lingua differente dalla mia, che hanno ideali opposti dai miei ma che, in fondo, ho capito non essere così diverse da me.
L’esperienza Erasmus mi ha permesso di entrare in empatia con quelle persone tanto da creare un legame affettivo con loro. Alcuni sono passati da essere un tedesco qualunque, una greca qualunque, un russo qualunque, a essere persone che quotidianamente hanno fatto parte della mia vita. Ed è proprio qui che credo stia la chiave. Entrare a far parte della storia personale di altre persone, che a loro volta sono entrate nella mia di storia, mi ha permesso di azzerare quella distanza tra me e quelli che erano solo degli stranieri sconosciuti. Vivere un’esperienza immersiva e interculturale come l’Erasmus mi ha ricordato che, seppure sotto una bandiera diversa, le emozioni, i sentimenti, le passioni, sono comuni a tutti noi in quanto esseri umani. Un aspetto rilevante, che dietro uno schermo spesso passa in sordina. Con le persone che ho avuto la fortuna di conoscere ho condiviso gioia, tristezza, euforia e amarezza. Per questo credo che la guerra, esempio più alto di disumanità, sia nettamente in contrasto con quelli che sono i valori dell’Erasmus.
L’essere umano, in quanto animale sociale, è per istinto portato a entrare in relazione con altri individui. I nuovi sistemi digitali permettono sì di mettere in contatto culture diversissime tra loro, ma è una connessione de-umanizzata, che manca di quei comportamenti strettamente umani, come il contatto visivo, il contatto fisico, la convivialità. Elementi che caratterizzano l’indole dell’uomo e lo distinguono dagli altri esseri viventi rendendolo animale sociale. La guerra è riprovevole di per sé, chiunque coinvolga. Ma pensare che anche persone con cui ho condiviso esperienze tra le più belle della mia vita possano vivere un tale incubo, mi fa capire ancora di più che qualsiasi conflitto, a prescindere dalle motivazioni, è illegittimo. Ritengo che l’Erasmus, e forme di scambi interculturali simili, siano promotrici della pace poiché creano storie, formano legami e ci ricordano che, nella nostra diversità, siamo tutti ugualmente umani. Riprendendo un dibattito attuale sono certo che, chiunque abbia fatto un’esperienza simile, per un giorno di pace rinuncerebbe al condizionatore per la vita. Massimiliano Tripodo (2005712)