Considerazione sul rapporto tra integrazione europea e pace
L’Unione Europea è, nelle sue volontà e negli obiettivi raggiunti, una realtà unica nel suo genere. Una realtà stabile, una condizione di equilibrio che fa sentire i popoli che ne fanno parte un insieme coeso di persone, di cittadini che possono ritrovare la loro culla comune nella “mamma Europa”.
Parola chiave di questo incredibile progetto è “integrazione”, che deriva dal verbo latino integer che significa rendere intero. Dunque, l’obiettivo è quello di creare un armonioso complesso tra quegli stati che, più o meno vicini, rintracciano comuni radici, culture e obbiettivi di varia natura.
La situazione ottimale per legare, sviluppare un sentimento di coesione e così che chiunque si senta parte di questo progetto, è dettata indiscutibilmente da un clima pacifico, che faccia sì che i cittadini dell’Unione si sentano all’interno delle “mura di casa”.
Tuttavia, l’Unione Europea riveste a volte il ruolo di madre, altre quello di matrigna. È stata la prima quando ha accolto i suoi membri rendendoli parte di questa grande ed eterogenea “famiglia” di popoli, trovando sempre tra loro un punto in comune, o creandolo attraverso le varie politiche sviluppate negli ultimi 50 anni circa.
Ma questo è stato sufficiente, guardando ad oggi, per la costruzione di un palazzo che avrebbe dovuto avere mura forti ma, allo stesso tempo, delle porte spalancate a chiunque avesse voglia, intraprendenza ma anche coraggio di aderire ad un progetto così promettente ed innovativo, seppur complesso? L’Unione Europea si rivela, però, anche matrigna davanti a Paesi che invece non sente come suoi “figli”, nonostante non siano così distanti geograficamente, ma che lo sono forse troppo dai suoi interessi, per essere posti sotto la sua ala protettiva. Non solo paesi che fanno parte del continente europeo ma non dell’Unione, ma anche paesi che pur facendone parte e pur avendo, dal punto di vista burocratico, le stesse tutele, promesse e leggi, da un punto di vista pragmatico rappresentano un po’ l’ultima ruota del carro di questa grande macchina che è il progetto europeo.
La posizione di essere cittadini privilegiati dell’Unione Europea il più delle volte ci sfugge. La cittadinanza ad un qualcosa di così grande e potente, visti i suoi membri e i suoi mezzi, è spesso difficile da comprendere ed assimilare. Fare proprio un concetto del genere non è semplice come bere un bicchiere d’acqua, anzi. Se si considera che la maggior parte degli Stati ha come cittadini persone che poco percepiscono e poco si interessano al loro stesso Paese, viene facile domandarsi quanti e chi ne sappia davvero circa la natura dell’Unione e come essi, infine, l’abbiano interiorizzata.
È proprio nei momenti in cui un luogo vicino a noi, apparentemente tranquillo e “occidentale”, viene colpito che ci si comincia a domandare “e se i prossimi fossimo noi?”. Ma “noi” facciamo parte della grande Unione Europea, un luogo idealmente sicuro che abbraccia i suoi stati membri, proteggendoli, attraverso il coordinamento della politica di difesa, ma anche grazie all’internazionale NATO.
Ma proteggere se stessi, ma anche stati vicini non membri dell’Unione, con un uso smodato di armi, violenza ed imposizioni è il modo giusto per riportare la stabilità e la pace in quei territori? È davvero sempre necessario lucrare su strumenti che vivono il binomio incontestabile di attacco/difesa?
Se l’integrazione europea non nasce solo da sentimenti positivi e da situazioni che sono politicamente e burocraticamente idonee e facili per questo processo; ma, anzi, passa anche dal conflitto, portando eventualmente la pace su territori fragili ed in difficoltà, mi domando se basti guardare al risultato finale, ammettendo e giustificando così l’ossimoro di guerra per la pace; o se invece una battaglia, più metaforica che fisica, potrebbe portare ad un cambiamento dello status quo, così da ribaltare le attuali dinamiche, troppe volte ipocrite ed “economiche” e senza il reale desiderio di salvaguardare la vita, le
abitudini e la cultura dei popoli che solo insieme sono riusciti a costruire questa meravigliosa ma intricata realtà.
Laura La Rosa